La loro mission è ricucire gli strappi. Quelli che possono nascere tra vicini di casa, tra familiari, all’interno della coppia. E poi nei casi più drammatici, tra vittime e autori di reati. In Italia ci sono associazioni e realtà che si occupano di giustizia riparativa e mediazione penale e sociale.Elena Parasiliti, giornalista di Terre di mezzo, nel libro “Ti chiamo per nome” (Terre di mezzo editore) ha raccolto le storie di chi ha cercato o sta provando a perdonare, a riconciliarsi con la persona che le ha fatto del male. Queste nove realtà “sono la risposta creativa di alcuni pionieri che, in attesa di una proposta di legge da parte dello Stato che tarda ad arrivare, hanno provato a rendere concrete le sollecitazioni dell’Onu e dell’Unione europea che invitano sempre vittime, colpevoli e collettività a dialogare tra loro“, sottolinea Elena Parasiliti.
Tre delle realtà censite nel volume sono a Milano. La più “antica” è il “Centro italiano per la promozione della mediazione”, nato nel 1995: offre assistenza anche alle vittime di stalking e a chi si è macchiato di reati sessuali o contro la persona. Nel 2012 ha seguito complessivamente 200 casi. La cooperativa Dike, fondata nel 2001 (cooperativadike.org), finora ha seguito tra i 50 e gli 80 casi all’anno, grazie al lavoro di 14 professionisti: dalle liti condominiali a quelli tra colleghi, ai casi di reati veri e propri. L’associazione Snodi (mediazione-snodi.org) è nata nel 2010 e si occupa sia di mediazione che di formazione.
Spesso è il mondo religioso ad attivare servizi di mediazione, che sono comunque aconfessionali e quindi aperti a tutti. Come nel caso dell’Università del perdono (con sedi a Torino, Rimini, Scutari, Hebron e Bogotà), promossa da padre Gianfranco Testa, missionario della consolata, gli operatori del progetto Colomba e i referenti della Comunità Papa Giovanni XXIII. In Italia l’Università è nata nel 2010 e l’ispirazione viene dai quartieri popolari di Bogotà, dove dal 2002 esistono le scuole del perdono e della riconciliazione. La Caritas di Bergamo ha fondato nel 2005 l’Ufficio di mediazione penale e giustizia riparativa, che si avvale della collaborazione di 20 mediatori, di cui sei originari di Senegal, Iraq, Marocco, Costa d’Avorio, Perù e Albania. Il movimento del Rinnovamento dello Spirito ha creato il progetto Sicomoro, con sede a Roma e progetti di mediazione all’interno di alcune carceri italiane. È Valdese il Centro di giustizia riparativa “La noce” di Palermo, che dal 2011 raccoglie minori e giovani con problemi di devianza, alcuni già condannati oppure in “messa alla prova” (decisa dal Giudice che sospende la pena e affida il minore ai servizi sociali): attraverso un percorso che prevede lavoro gratuito e presa di coscienza del reato commesso, questi ragazzi risanano simbolicamente il danno causato.
Sono nate nel mondo del carcere o del diritto le altre due realtà che si occupano di mediazione. Ristretti Orizzonti, bimestrale della casa di reclusione Due Palazzi di Padova e dell’istituto penale femminile della Giudecca di Venezia, ha ideato il progetto scuole con uno scopo ben preciso: allenare i giovani a pensarci prima. I detenuti vanno nelle aule e raccontano la loro storia, come sono finiti in carcere, il tutto in un’ottica di prevenzione. Adirmediazione, network de L’altro diritto, coinvolge otto mediatori e sei giudici di pace toscani e i comuni di Firenze, Calenzano e Sesto Fiorentino.
Redazione: Dario Paladini, 12.11.013
Immagine: marzanomichela.wordpress.com
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