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Farmaci export

Non ci sperava più il signor Gianni di riavere in tempo la medicina che ogni giorno lo aiuta a rilassare i muscoli per camminare senza impaccio. Va nella solita farmacia e per la prima volta si sente dire che il Mirapexin, il farmaco che prende per tenere a bada il Parkinson, è finito e non si sa quando arriverà. Sgomento, con le mani nei capelli, pensa all’unica soluzione possibile: telefonare alla figlia Anna, che automunita inizia la caccia alla confezione. Dopo diversi tentativi finalmente la trova, a 20 chilometri dal paese: anche questa sera suo padre potrà assumere la sua pastiglia salvavita.

Ci sono farmaci che appaiono e scompaiono a intermittenza dagli scaffali delle nostre farmacie: una lista lunga che comprende Xanax (ansiolitico), Sinemet (anti Parkinson), Nyogel e Timogel (oftalmici), Vasexten e Libradin (antiipertensivi), Entocir (antiinfiammatorio intestinale), Simestat (anticolesterolo), Benexol (vitamina B) e Rafton (antiinfiammatorio a base di cortisone), solo per citare i 10 più ricercati nei primi otto mesi del 2012 secondo il sito trovailtuofarmaco.it, servizio online dedicato ai farmacisti. Nel 90 per cento dei casi si tratta di farmaci di fascia A -cioè quelli “essenziali” per curare le patologie croniche a carico del Ssn, il servizio sanitario nazionale- che mancano dagli scaffali in media ogni tre mesi, e restano irreperibili per un periodo che varia da uno a quattro mesi. Poi, come il coniglio dal cilindro, rispuntano sul mercato.

Un gioco di prestigio dietro il quale c’è il business delle esportazioni parallele nei Paesi dell’Unione europea: una conseguenza della libera circolazione dei beni e dei prodotti vigente in ambito comunitario che, in questo caso, consente di trasferire i farmaci da uno Stato dove i prezzi sono più bassi -come in Italia, soprattutto per quanto riguarda i prodotti di fascia A- a un altro in cui i prezzi sono più alti. “In Germania -spiega Alfonso Di Stasio, farmacista a Camigliano, provincia di Caserta-, il costo dei farmaci sale quasi del 400 per cento. Per esempio il Cymbalta, un antidepressivo, costa 87,68 euro mentre in Italia vale 24,90 euro”. Chi ci guadagna sono i grossisti, tra cui quelle farmacie che, grazie a una licenza regionale, possono vendere anche all’ingrosso, come consente il decreto legge 223 del 2006. “A loro basta solo riconfezionare il medicinale, che a differenza dell’originale non presenta il marchio, oppure rietichettare la confezione sostituendo il foglietto illustrativo”, spiega Di Stasio.

Trasferire una parte dell’attività su mercati più redditizi “è una scelta legittima”, sostiene Sergio Sparacio, direttore generale dell’Adf, associazione dei distributori farmaceutici, “giustificata dalla contrazione della quota di rimborso da parte dello Stato -che nel 2010, per i farmaci di fascia A, è passata dal 6,65 per cento al 3 per cento del prezzo di vendita- e dall’imposizione di ulteriori sconti alle farmacie”. Secondo Sparacio, alcuni grossisti si rivolgono addirittura a intermediari specializzati: “Ci sono broker che aiutano a smerciare i farmaci all’estero, in Italia sono due o tre”.

Un’attività che, se non infrange alcuna legge, tuttavia impedisce ai farmacisti di garantire ai pazienti una quantità di prodotti pronta e sufficiente. “Spesso, se ordino dieci scatole ne arrivano due” si lamenta Di Stasio, ma il rapporto tra ordini e consegne è lo stesso ovunque, dal Nord al Sud Italia. La ragione della distribuzione col contagocce è presto detta: da una parte, gli importatori paralleli condizionano al ribasso il prezzo nazionale dei farmaci, a scapito dei profitti dell’azienda titolare del brevetto; dall’altra, per contrastare la pratica dell’import-export, i produttori contingentano le forniture a distributori, grossisti e farmacie. “Le industrie suddividono il territorio in microbrick -spiega Di Stasio, che ha descritto il fenomeno sul suo giornale online– cioè in mini aree geografiche (ce ne sono poco meno di 2.700, ndr), per ciascuna delle quali stabiliscono un fabbisogno”. Così, per scongiurare la fuga dei farmaci, la distribuzione viene dilazionata e funziona sempre più a intermittenza.

Una pratica che continua da anni e che già nel 2010 la Federazione degli ordini dei farmacisti italiani aveva denunciato all’Aifa, l’ente governativo competente in materia, senza tuttavia ottenere reazioni significative.

Da gennaio il meccanismo ha coinvolto un numero via via crescente di prodotti, scatenando la rabbia ormai di tutti i farmacisti. “In trent’anni d’attività, mai come negli ultimi mesi si è lavorato così male -commenta a denti stretti Franca Schiroli, direttrice della farmacia comunale di Casalmaggiore, nel cremonese-. I rappresentanti di categoria devono difenderci altrimenti ne va della nostra credibilità”. Il rintocco delle campane segna le dodici e trenta, Franca chiude la saracinesca e si mette al computer per fare l’ordine dei farmaci mancanti: un elenco di cinque cartelle con 150 nomi, 83 dei quali non sono in giacenza. “Se il prodotto non c’è, il medico prescrive in modo distinto le molecole, ma il più delle volte non si può preparare e comunque non si ottiene mai la stessa concentrazione chimica dell’originale”, spiega Schiroli.

I primi a pagarne le conseguenze sono i cittadini, costretti ad attendere o ad affidarsi al generico equivalente non protetto da brevetti e, se questo non è ancora stato inventato, accontentarsi di un prodotto con un valore terapeutico simile, ma non sempre mutuabile. Ecco un esempio. Il sostituto della Folina, un antianemico che allo Stato costa 3,58 euro, è il Lederfolin, un farmaco di fascia C non rimborsato dal Ssn, che ha un valore per il pubblico di 14,90 euro.

Nel corso del 2011 Assofarm, che tutela gli interessi delle farmacie comunali, e Federfarma, in difesa delle private, hanno promosso un tavolo con gli attori del settore per incentivare lo scambio di informazioni e il monitoraggio del fenomeno. Forse qualcosa potrebbe migliorare con l’entrata in vigore del decreto sulla spending review del 7 agosto scorso, che a partire dal 2013 prevede un nuovo sistema di rimborso a grossisti e farmacie, da definirsi con l’Aifa e le associazioni di categoria. “La filiera distributiva ricorrerà di meno all’export parallelo se si stabilirà una remunerazione fissa non più calcolata in base al prezzo del prodotto”, spiega Egidio Campari di Assofarm. Intanto, per far fronte alle urgenze dei pazienti, grandi marchi come Astrazeneca, Eli Lilly e Pfizer hanno messo a disposizione delle farmacie un numero verde che consente di ricevere il medicinale nel giro di 24 ore. Prima occorreva attendere quasi due settimane. Ma la corsa al farmaco è scattata anche sul web: oltre a trovailtuofarmaco.it, riservato ai farmacisti, per i clienti è attivo il sito cercafarmaco.it, che consente di geolocalizzare il prodotto richiesto nella farmacia più vicina.

Testo: Chiara Daina
Illustrazione: Lorenzo Gritti

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