«A Rimini un vù cumprà sta cercando una pensione dove andare a dormire… ». Berlusconi iniziava così a raccontare, nel novembre 2010, una delle sue barzellette. Dicembre 2011, tutt’altro contesto: Gianluca Casseri uccide due ragazzi senegalesi a Firenze, venditori abusivi del mercato di piazza Dalmazia. Il quotidiano ‘Libero’ titola “Terrore al mercato di Firenze, uccisi due vù cumprà”.
Ma non è solo ‘Libero’ ad utilizzare il termine per definire i due senegalesi. Vi ricorre l’Ansa in una notizia delle 18.30, poi ‘il Giornale’, vi inciampano il ‘Corriere della Sera e ‘Leggo’, salvo poi correggere il tiro. Tengono vù cumprà anche ‘il Tempo’, ‘la Nazione’ e TgCom.
Un termine dispregiativo o una semplice soluzione per indicare al lettore chi erano le vittime? In rete si scatenano i commenti. «Erano anni che non si sentiva… che schifo…», dice Gabriele. «Riusciremo mai a cambiare questa odiosa mentalità?», si chiede Mariagrazia.«Usare il termine vù cumprà significa cancellare vent’anni di storia di integrazione»: è l’idea di Elena Parasiliti, direttrice del mensile ‘Terre di Mezzo’: «Vù cumprà è un vocabolo fortemente dispregiativo», sostiene «che riporta alla mente gli anni ’80, quando l’Italia dovette fare i conti per la prima volta con gli stranieri. Non sapendo come chiamare questi ‘sconosciuti’ si fece ricorso a frasi simboliche, come quella ripetuta così spesso dai venditori abusivi».
Nel frattempo, però, le cose sono un po’ cambiate. Dice Gianni Biondillo, scrittore: «Immaginate se il Corriere della Sera usasse il termine “terroni” per indicare due meridionali. La gente insorgerebbe no? Eppure con gli appellativi che riguardano gli stranieri siamo più tolleranti, ci fa meno impressione che siano ancora chiamati “campi rom” tutte le baraccopoli d’Italia. Non siamo ancora riusciti a superare la paura del diverso». Ma Vù cumprà, è stato scritto per senso o per caso? «Chi ha usato questa espressione», sostiene Biondillo « non si è reso probabilmente conto di aver fatto ricorso a un termine razzista, e questo è grave, perché il linguaggio può essere un’arma pesantissima».Per questo, secondo Elena Parasiliti, non si può parlare di leggerezza «perché nel nostro mestiere la leggerezza non esiste. Usare questo termine significa solo ignoranza. Ogni parola è un concetto, ogni concetto una rappresentazione della realtà. Parole come questa non fanno che distorcerla».
Francesca Sironi per l’Espresso (leggi articolo in versione integrale).